Altro giorno altra esperienza in quel di Berlino. Questa volta sono stata al museo ebraico e vi assicuro che è stata una delle esperienze più strane della mia vita. Adoro i musei e cerco di scovarne uno in ogni città in cui mi trovo, ma le sensazioni e le emozioni che ho provato in questo museo sono indescrivibili. La sua architettura dà l’impressione di un grosso palazzone opprimente e la moltitudine di scale che bisogna percorrere dà l’idea della fatica. In effetti lo scopo è proprio questo: far capire al visitatore la fatica e le difficoltà che il popolo ebraico ha dovuto subire nel corso della storia. Le cose da vedere sono molte, testimonianze autentiche di un popolo martoriato e perseguitato, ma le installazioni che mi hanno sconvolta di più sono tre e sicuramente non le dimenticherò mai: Il giardino dell’esilio, la Torre dell’olocausto e le foglie cadute.

Il giardino dell’esilio: si tratta di un’istallazione composta da 49 colonne di cemento alte sei metri fatte in modo da bloccare la vista dall’esterno. Il numero delle colonne è simbolico, 48 per indicare il 1948, ovvero l’anno della proclamazione dello stato di Israele e la 49esima che all’interno è colma di terra proveniente da Gerusalemme, simboleggia Berlino. Le colonne si trovano su una superficie scoscesa che rende l’intera costruzione alquanto strana. Nel momento in cui mi sono addentrata tra i pilasti ho avvertito un forte senso di smarrimento, capogiri e senso di nausea. Mi sono guardata intorno e mi sono accorta che la maggior parte delle persone provava queste sensazioni, chi più chi meno. Per continuare a camminare dovevo toccare i pilastri e volevo solo fuggire via da quel posto ma qualcosa mi diceva di continuare a girovagare tra quelle colonne. É come se mi trovassi in un universo parallelo, qualcosa che non posso spiegare con le parole, ero fisicamente lì ma il mio corpo era come smarrito. Ovviamente l’inclinazione di sei gradi del piano è stata studiata apposta, per permettere al visitatore di provare lo stesso senso di smarrimento e perdita di equilibrio che gli ebrei provavano nel momento in cui erano costretti a lasciare le loro case, le loro famiglie verso un destino che purtroppo oggi conosciamo molto bene.
· La Torre dell’olocausto: è una struttura completamente buia e vuota, illuminata solamente dalla luce indiretta del giorno che penetra attraverso un passaggio molto stretto. Vi si accede tramite una porta molto pesante e il senso di spaesamento è palpabile fin dal primo passo. Nella torre è presente solo una sorta di scala che non è raggiungibile, simbolo della tanto anelata libertà che purtroppo non arrivava. Appena ho aperto la porta ho sentito come dei lamenti, delle voci di bimba che chiedevano aiuto e non vi nascondo per un attimo ho avuto gli occhi lucidi e il magone. Chiusa la porta, ho percepito subito una sensazione di claustrofobia e di perdita di ogni certezza, non riuscivo a capire in che punto del museo mi trovassi e i rumori che arrivavano dall’esterno rendevano il tutto surreale. Ho provato a chiudere gli occhi per un minuto, immaginarmi su un vagone al freddo e senza cibo, stanca e senza dignità. Ho provato a immaginarmi chiusa in una camerata o addirittura in una camera a gas e mi si è gelato il sangue.
· Le foglie cadute: 10 000 volti in acciaio distribuiti sul pavimento dello Spazio vuoto della Memoria che rappresentano tutte le vittime di guerre e violenze. É possibile calpestare tutti i volti e vi assicuro che il rumore che producono è raccapricciante. Un frastuono stridulo, assordante, un rumore che ti entra nella testa e penetra nell’animo e ti fa desidera di uscire al più presto da quella sala e più ti affretti per andare via più il rumore aumenta. Una melodia di morte e sofferenza che lascia i visitatori increduli. Io ho mosso solo pochi passi, non sono riuscita a calpestare tutti quei volti, non volevo infliggere loro altro dolore, ero come bloccata, volevo proseguire ma i miei piedi erano fermi sui primi due volti incapaci di proseguire. In due minuti mi sono venute in mente duecento mila immagini, quelle che ho visto sui libri o al cinema e l’unica cosa che ho fatto è andare via in silenzio con un groppo pesantissimo in gola.

Sono uscita dal museo con una consapevolezza diversa come se il dolore mi fosse penetrato nell’animo. È un’esperienza da provare sicuramente.
Pia